traduzione dal tedesco di Jean-Pierre Morel, Roberto Menin, pubblicata dalle Éditions de Minuit
regia: Anna Romano, Stéphane Oertli
e Benedetta Frigerio
drammaturgia: Valentina Kastlunger
scene e costumi: Sara Bartesaghi-Gallo
con Maria Cristina Mastrangeli, Fabrice Scott, Gilles Denizot, Véronique Rousseau, Philippe Cheytion, Armando Schiffini, Marcello Trotter
collaborazione artistica: Rémy Jannin, Arnaud Vincent, Paulo Duarte
Progetto europeo portato dalle compagnie Octogone per la Francia, La Fanfare Minable per l’Italia e Fraction per il Belgio, ha visto diversi cantieri tra Italia (Dobbiaco e Teatro Studio di Scandicci), Belgio (Théâtre Océan Nord di Bruxelles) e Germania (Theaterhaus Mitte di Berlino).
È stato creato nella periferia di Parigi, al Théâtre Berthelot di Montreuil nel 2001 e ha aperto la stagione 2002/2003 del Théâtre Marni di Bruxelles.
Col sostegno di: Comunità Francese del Belgio, servizio per il teatro, Municipio di Montreuil (Francia), GAI (Circuito Giovani Artisti Italiani), Festival Heiner Müller Werstatt (Berlino – Germania), Festival Intercity (Firenze)
Una storia di uomini e donne, di operai e intellettuali, di comunisti e nemici della rivoluzione.
Russia, 1921.
L’interesse di Cemento risiede nel modo in cui la trama include, segue e riproduce i meccanismi che disegnano i cicli dell’economia. La Storia che si ripete impunemente, non ci insegna nulla.
E poiché la carne non è politicizzata…
Il testo rompicollo del grande autore tedesco, il sogno e la scommessa di tre giovani registi…
Note di drammaturgia e regia
La creazione di Cemento che presentiamo è composta di nove scene caratterizzate da una narrazione classica (una storia situata in un tempo e in uno spazio determinati). I personaggi vi apprendono le trasformazioni rivoluzionarie nella Russia del 1921. Questa narrazione è destrutturata dai “testi mitologici” di Cemento che bruscamente operano una distanziazione rispetto al contesto storico per prendere in conto l’Uomo in modo vertiginoso: utopia e realtà, collettivo e personale, reazione oscura dei corpi di fronte all’ideologia.Per via della natura stessa della sua materia drammaturgica, Cemento parla anche della nostra epoca, attraverso la storia della società, delle usanze, della politica e del linguaggio.
Cemento si svolge nel 1921 ed è stato scritto cinquant’anni dopo quella data. Parla delle speranze e delle disillusioni al nascere dell’U.R.S.S. Questa rielaborazione del romanzo di Gladkov include miriadi di riferimenti alla situazione della RDA nel momento in cui Heiner Müller scrive. Trent’anni più tardi un nuovo ciclo, annunciato dall’autore stesso, si sta compiendo. Stavolta è l’Europa che sta nascendo… ma come? Cemento è un materiale tentacolare che induce l’eccesso più che la misura, i debordamenti più che la ragione, un materiale nel quale rapidamente le idee affluiscono e si agglutinano intorno alle parole come altrettante volgari illustrazioni, accattivanti ma poco profonde. Senza alcun dubbio, Cemento è un terreno minato nel quale è indispensabile sapere perché, prima di sapere come. In fondo, non è altro che quel che fanno i bambini con le bambole. Ogni tanto, il bambino vuole sapere cosa c’è nella bambola. Perciò bisogna romperla, altrimenti non si saprà mai cosa c’è dentro. La sola morale dell’arte in realtà non è altro che una pulsione antropologica: voler sapere cosa c’è nella bambola. Lo spettacolo comincia in un’atmosfera irreale: l’incubo di Chumalov. Il protagonista, attraverso il quale leggiamo la storia, al suo risveglio precipita in una realtà ancora più incomprensibile per lui. Come l’uomo che sogna che sta sognando. In seguito i colori stridenti della prima parte lasciano posto a degli universi monocromi e sbiaditi. I personaggi emergono da uno stato di sonnolenza, come anestetizzati dalla NEP e dall’ascesa progressiva di una nuova classe borghese.
Era il 1998. Avevamo appena venticinque anni quando ci siamo incontrate durante l’École des Maîtres diretta allora da Matthias Langhoff.
Le opere di Müller circolavano…
Con incoscienza totale Anna s’innamora di Cemento. Lo sta fotocopiando per Benedetta (che è già diventata sua complice in questi lunghi mesi di studio), quando Langhoff passa nell’ufficio. Le chiede cosa fa con “quel” testo. Anna risponde semplicemente che lo trova stupendo e che vuole “farlo” con Benedetta. Con un sorriso sornione il Maestro le risponde: “Forza, andate avanti allora!”
Per fronteggiare questo materiale tentacolare che è Cemento, non potevamo far altro che cominciare dalle nostre stesse differenze linguistiche e culturali. Quasi subito ci siamo resi conto che questo sforzo di comunicazione è lo stesso che ossessiona i personaggi durante tutta la vicenda narrata. Abbiamo esorcizzato le nostre difficoltà di comunicazione rendendo leggibile l’impossibilità di incontrarsi dei protagonisti dello spettacolo. La traduzione francese del testo è alleggerita con parti nella lingua d’origine (il tedesco) e con incrostazioni di stralci della traduzione italiana. Lavoriamo in modo ciclico alternando i codici teatrali, passiamo dallo schizzo d’insieme all’assemblaggio dissonante d’immagini e suoni: marionette e fanfara accompagnate da un lavoro musicale sul testo. Lavoriamo sulla rottura: la marionetta poco a poco si affranca dai fili e si sorprende a liberarsi là dove dovrebbe attaccare e vice versa, confondendo tutte le strutture prestabilite. Seguendo la stessa modalità, l’uso del microfono, s’impone in un approccio il più possibile lontano dal realismo. Un lavoro sul corpo della frase, sul suono. Ci piacciono anche i filtri davanti all’immagine, perché un’immagine deformata o filtrata racchiude un segreto e riveste così l’abito dell’estraneità. Ci piacciono le sfocature perché sollevano la problematica della percezione. Uno dei filtri possibili è per noi l’uso dell’immagine video.
Media della saturazione per eccellenza, il video qui non deve essere informativo, ma scatenare dei nuovi possibili, suggerire uno spazio mentale o geografico. Il video è parte integrante della scenografia. Così il dispositivo di schermi dispiegato sulla scena suggerisce grandi spazi poiché è sempre seminascosto da un muro o collocato dietro una finestra.
Anna Romano, Stéphane Oertli et Benedetta Frigerio
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